(Pisa 1564 - Arcetri, Firenze, 1642) scienziato e letterato italiano. Figura centrale della scienza moderna, insegnò nelle università di Pisa (1589-92) e Padova (1592-1610); fu poi matematico primario dello Studio di Pisa e filosofo del granduca Cosimo II. Scontratosi con i difensori della tradizione aristotelica, subì due processi da parte del Sant’Uffizio (1616 e 1633); il secondo si concluse con una condanna e con l’abiura di G., il quale da allora fu costretto a vivere in isolamento. Divenuto cieco nel 1637, morì nel 1642 nella sua villa di Arcetri.Tra i suoi numerosi scritti scientifici si ricordano: Sidereus nuncius (1610), dove annuncia varie scoperte astronomiche, fra cui quella dei quattro satelliti di Giove; Il saggiatore (1623), sulla natura delle comete, in cui sostiene con vivacità polemica che la matematica è la chiave per comprendere i fenomeni naturali; Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), in cui aderisce alle tesi eliocentriche copernicane; Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638), la sua maggiore opera di meccanica. La genialità di G. non va cercata solo nei risultati delle sue indagini (diede avvio alla meccanica moderna e, usando per primo il cannocchiale, effettuò importanti ricerche astronomiche), quanto nella sua impostazione metodologica: propugnatore del metodo sperimentale, insistette sulla necessità di adottare in fisica modelli matematici. Sul piano della storia della cultura è inoltre importante il suo tentativo di ottenere un consenso dalle autorità ecclesiastiche alle rivoluzionarie scoperte copernicane: il fallimento di tale programma ebbe un peso decisivo nel frenare l’evoluzione in senso laico della scienza italiana. Ingegno versatile, G. s’interessò anche di letteratura, specie negli anni giovanili, durante i quali intervenne nel dibattito relativo alla poesia di Ariosto e Tasso (Considerazioni sul Tasso, Postille all’Ariosto), accordando decisamente la propria preferenza al primo. Sono del 1588 due sue Lezioni circa la figura, sito e grandezza dell’«Inferno» di Dante. Prosatore di grandi risorse argomentative ed espressive (quale si rivela anche nel suo importante epistolario), nitido e antiretorico, G. si riallaccia, senza pedanterie linguistiche, alla tradizione toscana del Cinquecento, ma inaugura insieme, per il vigore dialettico e la sapiente ironia che anima lo stile delle sue opere maggiori (specie Il saggiatore e il Dialogo), la nuova tradizione della prosa scientifica, sviluppatasi dal Sei al Settecento.